IL COLORE DEI SOGNI DI MIRÓ

 

Una pittura estremamente difficile da capire ma facile da sentire. Soprattutto riconoscibilissima. Un linguaggio innovativo con un proprio vocabolario espressivo capace di generare gioia e stupore. I colori sono puri e brillanti, i contrasti forti, le linee sottili, i soggetti allucinati e onirici. I temi ricorrenti, l’uso costante di simboli come le stelle, gli uccelli, la donna e le fantasiose rappresentazioni di teste. Personale rielaborazione di influenze diverse come la tradizione popolare, la calligrafia asiatica o i graffiti urbani.

 

Joan Miró, Le Chant de l’oiseau à la rosée de la lune, 1955, olio su cartone. Foto Joan Ramon Bonet. Archivo Successió Miró. © Successió Miró / ADAGP, Paris, by SIAE 2021

 

Joan Mirò (Barcellona 1893 – Palma di Maiorca 1983), il famoso artista catalano vissuto in uno dei periodi più fervidi della storia dell’arte, non è un artista figurativo. La sua è stata certo una pittura decisamente figurativa, anemica ma solo fino al 1920 quando arriva a Parigi, la capitale del mondo della cultura, dove entra in contatto con tutti i poeti surrealisti. Non appena la sua opera subisce l’influenza del surrealismo francese esplode ed ecco comparire una pittura di segno, di simbolo che attinge al subcosciente collettivo.

 

FORME FANTASTICHE E VARIOPINTE

Ma i riferimenti che hanno segnato la sua evoluzione artistica sono anche il futurismo italiano, Marinetti, la metafisica e De Chirico. La sua arte non contempla l’immagine tradizionale. E’ un artista poetico, musicale.  Parla di sensazioni, di emozioni immediate e suggestioni che partono direttamente dal suo cuore e che lui riversa nelle sue opere. Sebbene la sua pittura tenda all’astrazione, nell’accostamento di forme fantastiche e variopinte si riscontra quasi sempre una traccia del reale: un occhio, una mano, la luna. Come annota Stefano Roffi:

 

“Miró dipinge ispirandosi alle forme della natura, ma anche alla musica; per un periodo compone inoltre poesie di stile surrealista, seguendo meccanismi psicologici simili a quelli adottati in pittura. Egli aspirava chiaramente al divino e la musica e la poesia erano le sue fonti di ispirazione. Talvolta le parole compaiono anche nei quadri, costituendo la loro chiave di lettura”.

 

Oiseaux dans l’espace, 1974, © Sandro Lucentini

 

“Un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni”: così il poeta francese Jacques Prévert descriveva Miró. E l’influenza del sogno e del subosciente collettivo del poeta Mirò si è riversata nella sua pittura.

 

 IL COLORE DEI SOGNI

Entrare nel mondo onirico dell’artista attraverso le sue opere oggi è possibile grazie ad una mostra originale dal titolo “Miró. Il colore dei sogni”, allestita nella sontuosa “Villa dei Capolavori” di Mamiano di Traversetolo, presso Parma, fino al 12 dicembre 2021.

 

L’esposizione è stata realizzata dalla Fondazione Magnani-Rocca, in collaborazione con Fundación MAPFRE di Madrid, e il suo direttore scientifico, Stefano Roffi, l’ ha curata col contributo di studiosi spagnoli e italiani.

 

Il percorso espositivo, orchestrato come una partitura musicale, dispiega cinquanta opere fra gli anni Trenta e gli anni Settanta. Si tratta per la maggior parte di dipinti olio su tela, che testimoniano gli ultimi decenni di attività dell’artista e il suo il desiderio di voler realizzare qualcosa di nuovo rispetto alla pittura tradizionale.

 

Parete con opere di antipittura © Sandro Lucentini

 

LA DIMENSIONE DEL SOGNO

Un vero e proprio attacco sferrato nei confronti della pittura comunemente intesa è  evidente soprattutto in alcune opere, eseguite nel 1965 e nel 1976, tra le quali spicca Cheveaux mis en fuite par un oiseau. Sono un gesto di antipittura. Mirò infatti massacra letteralmente degli anonimi dipinti di stile classico, che lui comprava nei mercatini o sulle bancarelle, infliggendo sulla loro superfice le sue vivide pennellate.

 

Il sogno non è uno spazio reale, naturale, vive solamente nella dimensione del sogno mironiano. Nel quadro Oiseaux dans l’espace (1974) si vede una forma molto lavorata, anche a mano, dove con il polpastrello ha pigiato il nero. C’è una lotta, un conflitto tra una forma nera e l’altra. E’ un’opera in cui si evidenzia la grande libertà del gesto di Mirò. Da notare il dettaglio pittorico giallo, il dripping o colatura con il rosso e poi le macchie di nero e rosso. Un cosmo di punti come stelle e costellazioni.

 

Personnage et oiseaux devant le soleil e Personnage et oiseaux devant la lune
1976 © Sandro Lucentini

 

POESIA GRAFICA

Il linguaggio mironiano è un linguaggio primitivo, molto simbolico: forme di uccello, figure di uomini, donne, stelle. Ad esempio, gli uccelli per Mirò sono messaggeri tra il cielo e la terra, tra la vita spirituale e quella terrestre. L’artista aveva una tensione spirituale che gli durava tutta la giornata. Per lui la vita e la morte erano le due facce di una stessa medaglia. Aveva questa connessione extradimensionale

Era un surrealista astratto, perché aveva subito l’influenza del surrealismo a Parigi. Ma dopo la fine della Seconda Guerra mondiale rimane folgorato dagli artisti americani dell’espressionismo astratto, dal grafismo della filosofia Zen, dalla calligrafia giapponese e cinese. Tutto ciò confluisce nella  felicità creativa che si trova nei suoi libri illustrati esposti in una nutrita sezione della mostra.

Il dittico del sole e della luna è composto da due tele di grande formato e poetica bellezza del 1976: Personnage et oiseaux devant le soleil e Personnage et oiseaux devant la lune. Rispecchia una fase dell’artista maturo e consapevole. Quando sapeva di poter rappresentare davvero qualcosa di mai visto nella storia dell’arte. Spiega il curatore Roffi:

 

“È un Mirò gioioso che invita alla contemplazione e nello stesso tempo all’amore universale. Lui aveva affrontato la guerra, e anche la guerra civile spagnola, sempre con lo spirito di reagire attraverso l’arte. Indicava nell’arte lo strumento per affrontare i momenti peggiori della vita sempre con sorriso e amore”.

 

Joan Miró, Femmes et oiseaux II, 1969, olio su tela. Foto Joan Ramon Bonet. Archivo Successió Miró. © Successió Miró / ADAGP, Paris, by SIAE 2021

 

POETICA DEL RECUPERO

La pratica del riciclo di materiale obsoleto da parte del Maestro spagnolo risulta palese in opere quali Femme, oiseau del 1970, eseguita su una vecchia lamina di zinco recuperata, dato che Mirò voleva lavorare sul metallo. Oppure in Femmes et oiseaux II, del 1969, facente parte di una serie di dipinti a olio su tela di lino grezzo non preparata.

 

Mirò è conosciuto come pittore ma comunque fa tante altre cose insieme. Ha  sempre cercato di fuggire dalla pittura attraverso altri linguaggi: la musica, la poesia, la ceramica. Ha scritto anche poesie, lavorato la ceramica, progettato sculture architettoniche. Rimarrà sempre pittore fino all’ultimo giorno della sua vita ma allo stesso tempo lotta contro la pittura: è ciò che lo rende unico. Nel suo caso si può parlare davvero di un coinvolgimento tra le discipline, un intento preciso.

 

Libro illustrato © Sandro Lucentini

 

INFLUENZA MUSICALE

Tra i saggi presenti nel catalogo della mostra (Silvana editoriale), oltre a quello del curatore e quello a firma di Mauro Carrera sull’attività dell’artista come illustratore,   risaltano in particolare quelli di Joan Punyet Miró, nipote dell’artista, sul rapporto fra Miró e la musica, e fra Miró e l’Italia.

 

Il rapporto con la musica e l’influenza che questa ha avuto sull’opera dell’artista catalano è l’aspetto della sua arte meno noto per il pubblico. Autore del bellissimo e forse unico saggio su Mirò e la musica, Joan Punyet Miró ha una conoscenza intima e profonda dell’arte di suo nonno. Sostenitore e interprete della sua opera, ha protetto l’attività della Fondazione insieme ad altri esponenti della famiglia.

 

Secondo lui la simbiosi poetico-musicale di Mirò è la chiave segreta della sua opera. Racconta che il nonno lavorava con i libri di poesia aperti sul tavolo mentre ascoltava musica. Possedeva 500 dischi che si era fatto inviare da Parigi, New York, Berlino e dall’ Italia. Dischi di vinile che si ondulavano al caldo di Maiorca!

 

Joan Miró nell’atelier Sert, Palma di Maiorca 1957. Photographic Archive Francesc Català-Roca. Archivio Successió Miró

 

L’ultima parola spetta al curatore Stefano Ruffi, che aggiunge:

 

Mirò ha la capacità di infondere fiducia, energia e superare le avversità attraverso il potere sublime dell’arte. Lui evidenziava nella realtà ogni elemento che potesse diventare per l’uomo qualcosa di positivo. Anche in certi suoi quadri, dove vediamo piccole figure brulicanti, lui ha voluto esprimere quello che non si vede in natura. E’ stato un surrealista che ha accolto il surreale nella realtà: quello che non si vede, quello che ancora ci affascina attraverso i suoi colori”.

Pubblicato da Anna Amendolagine

Curatore indipendente, saggista e giornalista vive e lavora tra Roma e Rimini. La sua attività curatoriale inizia a partire dal 2003 e comprende l’ideazione e la realizzazione di mostre, testi e cataloghi d’arte, rassegne ed eventi culturali in collaborazione con Istituzioni pubbliche e private sia in Italia che all’estero. E stata membro della giuria o del Comitato Scientifico di diversi concorsi artistici. Giornalista pubblicista e Addetto ufficio stampa ha scritto numerosi articoli su arte e cultura per riviste cartacee e online. Ha ricoperto il ruolo di Coordinatore Tecnico Europeo per due importanti progetti culturali dell’Unione Europea PETRA e LEONARDO dal 1993 al 1998.