
“La mia arte nasce dalle mie esperienze di vita” dichiara Shammout, fondatore del Dipartimento delle Arti dell’OLP, considerato uno dei più importanti pionieri dell’arte palestinese.
Per molti anni come segretario generale dell’Unione degli artisti palestinesi ha cercato di dar voce ai rifugiati dei territori occupati da Israele.
L’ INIZIO
“Ci sono molte cose nella vita che meritano di essere dipinte, espresse e rappresentate: la vita è bella e dobbiamo viverla pienamente….”
Ismail Shammout (in arabo إسماعيل شموط) nacque nel 1930 a Al-Lydd (antica capitale della Palestina). Da giovane ebbe la possibilità di studiare con Dahoud Zalatimo (1906 Gerusalemme -2001, pittore e insegnante d’arte che diventò consulente d ‘arte per l’Unesco).
A sedici anni Ismael riuscì a convincere suo padre che avrebbe potuto guadagnarsi da vivere facendo arte
“Fin dalla mia infanzia sono stato innamorato della pittura e dei colori, sono stato sedotto dai prati fioriti della Palestina che non posso dimenticare… ma la mia arte è nata nei campi profughi….”

LA “NABKA”
Shammout aveva 17 anni quando il 13 luglio del 1948 fu costretto con tutta la sua famiglia ad abbandonare la città sotto le armi puntate dei soldati israeliani.

Insieme alla maggioranza della popolazione di Al Lydd marciarono per giorni, molti morirono di fame e di stenti. Dopo giorni nel deserto raggiunsero il campo profughi di Khan Younis, nella Striscia di Gaza.
In questo campo profughi Ismael rimase per tre anni.
E decise che il compito della sua arte era quello di raffigurare la sofferenza delle condizioni di vita dei palestinesi, degli orfani, dei padri che combattono e cadono sul campo, rappresentare il ruolo degli anziani nella comunità,
Gli intellettuali e i leaders palestinesi si sforzarono di mantenere vivo il senso di unità dei rifugiati anche attraverso l’arte ed il folklore: la speranza era quella di sconfiggere un giorno Israele e di poter ritornare nella propria terra.
L’ARTE COME TESTIMONIANZA
Durante la Nabka e negli anni successivi i lavori degli artisti nei campi profughi puntarono al mantenimento dell’identità nazionale cercando di arrivare alla ribalta internazionale per raccontare la sofferenza del popolo palestinese.
L’arte di Shammout si mise subito al servizio della causa nazionale: organizzò un’ esibizione nel 1950 proprio nel campo profughi dove viveva, cercando di dare un senso alla tragedia che il suo popolo stava vivendo.
Ismael riuscì a frequentare studi di pittura alla facoltà di Belle Arti del Cairo:
“…ogni modello seduto di fronte a me, uomo donna o bambino. si trasformava sulla mia tela: diventava la rappresentazione della tragedia palestinese…”
La sua prima mostra ufficiale si tenne nel 1953 a Gaza City e fu anche la prima esibizione di un artista palestinese in Palestina.
L’esposizione dei suoi quadri che raccontavano la tragedia dell’esodo ebbe un grande impatto sulla gente di Gaza.

I suoi lavori permisero di visualizzare e di vivere collettivamente una tragedia che fino ad allora era vissuta interiormente, a livello di singolo individuo più che di popolo.
I rifugiati di Gaza videro se stessi nelle tele di Shammout, e fu una spinta a credere nella liberazione.
“…dopo quella mostra mi sono sentito responsabile di un’arte e di una pittura che fosse in grado di smuovere i sentimenti delle persone…e questo ha segnato il percorso di tutta la mia vita”
“Quando un artista si preoccupa di esprimere un problema, come la questione della Palestina, fa ogni sforzo per esprimerlo al più alto livello dell’arte…”
LONTANO DALLA PALESTINA
La vita di Shammout e di sua moglie Tamam Al-Akhal, anch’essa pittrice, nonostante i vari trasferimenti fra Il Cairo e Beirut si svolgerà sempre intorno alla questione Palestinese.
La sua arte diventò un documento storico e visivo della Nabka. Nella seconda metà degli anni ’60 fondò il Dipartimento delle Arti dell’OLP e per molti anni fu Segretario dell’Unione degli Artisti palestinesi.
Negli anni a venire i temi diffusi da questi artisti ,l’esilio, la resistenza, la nostalgia per la loro terra, rafforzarono la costruzione dell’identità nazionale.
“Nel dipinto – La primavera che era – ci sono i ricordi giovanile della mia bellissima terra. In molti miei disegni appare una sedia con una forma particolare che vedevo da bambino in tutti i caffè palestinesi. E’ stampata nella mia memoria. Appare anche nel dipinto “C’era mio padre” (1957) che raffigura il dolore di un bambino per il padre ucciso durante i raids del 1956″

L’arte dipinge la guerra

L’ opera di Shammout nel corso degli anni si identificò sempre più con la questione palestinese
In un’intervista rilasciata nell’ottobre del 1968 Ismael dichiarò che gli ultimi suoi lavori riflettevano il dramma che gli artisti palestinesi condividevano con la popolazione dopo il “disastro” della guerra contro Israele del 1967.
“Dopo quella sconfitta avrei voluto urlare..”
e invece prese i pennelli e rese più duri i colori e le forme dei suoi dipinti.
I suoi soggetti ora erano i fedayeen, i combattenti arabi, con i loro occhi devastati dal dolore e dalla rabbia.
Shammout si riferì ai loro occhi anche in un frammento di una poesia da lui composta nel 1968

“Rivoluzionari – martiri – pallottole
Parole che sono cresciute con me
Bambini senza casa di ieri
Oggi sono i combattenti per la libertà
I loro occhi iniettati di sangue…”
E una riproduzione di un suo lavoro fu scelta come poster anti-israeliano per tappezzare i muri del Cairo.
the world is with us
Gli artisti che vissero e parteciparono alla rivoluzione palestinese degli anni ’70 rimasero a lungo in silenzio riguardo la loro esperienza. Solo nel 2014 una mostra che si tenne a Londra diede loro la possibilità di manifestare il senso di appartenenza che avevano condiviso in quegli anni attraverso la loro arte.

Courtesy of the Palestine Poster Project Archives (PPPA)
Furono l’espressione di un popolo espulso in massa che riuscì a ricostruire “la propria storia” per riprendersi la terra, un popolo che costruì fabbriche, ospedali, scuole, istituzioni.
La lotta palestinese fu combattuta anche con posters e films così come con pietre e pallottole: si sviluppò una suggestiva cultura che comprendeva la musica, il cinema, la poesia, la radio, la fotografia, la pittura e le arti plastiche.
La mostra del 2014 The world is with us: Global film and poster Art from Palestinian Revolution from 1968 to 1980 espose lavori di quel periodo violento e tumultuoso, ricco di una straordinaria creatività.

1974, by Rafeik Sharaf. Courtesy of the Palestine Poster Project Archives (PPPA)
IL RITORNO
Shammout potè fare ritorno a Gerusalemme solo nel 2001 per rendere omaggio al suo vecchio amico e maestro Dahoud Zalatimo ormai in fin di vita.
Racconta la figlia del vecchio pittore:
“Tra loro c’era una reciproca ammirazione. Dopo 47 anni finalmente poterono incontrarsi. Ismael baciò le mani di mio padre, lo ringraziò…e piansero insieme”
Shammout morì nel 2006
“…non posso rinunciare alla Palestina, alla sofferenza della Palestina, alla gioia della Palestina…la vita è bella e dobbiamo viverla..l’ uomo palestinese è superiore alla sofferenza che vive perché ama la vita”
