LE GRANDI OPERE SENZA TITOLO DI SHOZO SHIMAMOTO

 

A metà degli anni Cinquanta comincia ad affermarsi in Giappone un gruppo di artisti che, allontanandosi dalla tradizione surrealista e dagli stimoli di Duchamp, si esprimono in nome di una nuova creatività, che cede all’impulso. Il 15 luglio del 1957  ad Osaka esce il Manifesto dell’Arte Gutai.

 

Ispiratore di questo movimento artistico è Shozo Shimamoto (Osaka,  1928-2013), entrato nel gruppo Gutai fin dall’inizio, noto per il suo fervente spirito sperimentale. Secondo il critico Italo Tomassoni:

 

“Shozo Shimamoto è unanimamente riconosciuto come una delle massime espressioni della creatività contemporanea. Si inserisce nel contesto della cultura mondiale, a partire dagli anni cinquanta e fino alla sua morte, con una declinazione particolarmente differenziata rispetto a quello che era il trend generale rappresentato dall’informale europeo”.

 

Abituato all’Astratto, all’Informale e al Concettuale, l’occhio occidentale non si dovrebbe meravigliare più di tanto. Eppure quando si entra negli straordinari spazi del CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno per vedere la mostra del Maestro giapponese l’impatto è comunque stupefacente. Primo perché le opere sono di dimensioni notevoli, secondo perché la qualità del suo lavoro è diversa. Ci si avventura in una dimensione ‘altra’, come dice il critico Tapié de Céleyran, cioè mai vista prima.

 

Manifesto mostra

 

UNO SPETTACOLO MERAVIGLIOSO

 

L’ampia retrospettiva  intitolata  “SHOZO SHIMAMOTO / LE GRANDI OPERE”, a cura di Italo Tomassoni, si è inaugurata il 18 settembre 2021 e resterà aperta al pubblico fino al 9 gennaio 2022.

 

Si tratta di un progetto espositivo della Fondazione Morra di Napoli, voluto e interamente sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, con il supporto tecnico, logistico e organizzativo dell’Associazione Shozo Shimamoto.

 

La mostra indaga con sguardo attento e rigoroso la produzione artistica di Shimamoto che va dalle opere degli anni ‘50 fino alla fondazione del gruppo Gutai (1954) per poi arrivare alle performance realizzate in Italia negli anni ‘90 e 2000.

 

All’inizio del percorso espositivo ci accoglie la frase di benvenuto di Jiro Yoshihara, teorico del Gruppo Gutai,  tratta dal catalogo della mostra di Shozo Shimamoto che ha avuto luogo alla Gutai Pinacotheca nel 1962:

 

‘Sono convinto che le sue grandi opere, un abbraccio di impeto e opulenza estetica, offrano uno spettacolo meraviglioso. Buona visione’.

 

Si trova scritta sotto una serie di disegni acquarellati, su carta e di piccole dimensioni, del 1950, periodo precedente all’adesione al gruppo Gutai. Seguono alcuni dipinti di esponenti di questo movimento.

 

 

© Anna Amendolagine, 2021

 

VIAGGIO NELLE GRANDI TELE

 

Man mano che si procede esplodono sulle pareti le enormi tele di Shimamoto, con misure che vanno dai quattro ai dieci metri.  Invitano lo spettatore ad intraprendere un viaggio nelle profondità  dell’opera d’arte partendo dal colore per seguire un processo di creazione che va oltre uno spazio definito.

 

Sono opere che, in linea con il Manifesto, evitano di porre l’accento sul titolo o sul significato del prodotto artistico. Piuttosto evidenziano la dimensione spettacolare della sua ricerca artistica e l’emozione cromatica delle materie-colore. Per la maggior parte sono frutto di un’attività performativa nella quale l’esecuzione dell’opera è sincrona alla contemplazione del pubblico, con tutte le interferenze di un evento in diretta.

 

Suscita gioia, allegria e meraviglia la prima tela che si incontra in cui domina incontrastata una grande macchia verde smeraldo circondata qua e là da spruzzi  di rosso incandescente, con colate laterali di giallo e celeste.

 

Alcune tele hanno due grossi nuclei cromatici principali, spesso a tinte contrastasti tra cui il nero, circondati da macchie brillanti che sembrano casuali, ma che spesso casuali non sono. Altre, al contrario, non presentano alcun nucleo primario ma sono tutte esplosioni cromatiche molto ben accostate tra loro.

 

 

© Anna Amendolagine, 2021

 

COCCI AGUZZI DI BOTTIGLIA

 

Il nucleo centrale della tela più grande di tutte invece è  scuro. E’ una tela che non suscita gioia o allegria. L’insieme è piuttosto cupo e suggerisce distruzione. E comunque risulta interessante questa tela  un po’ stropicciata, che si raggrinza come se il Maestro ci avesse messo del catrame sopra. Non ha un telaio di legno che la sorregge, rimane solo un gigantesco pezzo di tela incollata, non si sa come,  alla parete.  Ci si  può tuffare in questa imponente e ondulata piscina e navigarci dentro, se non col corpo almeno con lo sguardo. Potrebbe persino essere una foresta o forse un lago putrido.

 

Disseminate su tutta la superficie delle opere esposte pezzi di vetro incorporati nel colore vi aggiungono spessore e movimento. Si tratta di cocci e fondi di bottiglie rotte dentro le quali si trovava il materiale colorante che il Maestro ha fatto letteralmente scoppiare sulla tela. Sulle creazioni cosiddette ‘a scoppio’ di Shimamoto  così si esprime Jiro Yoshihara nel succitato Manifesto:

 

Shozo Shimamoto [….] rompendo flaconi di vetro pieni di pittura ottiene dipinti risultanti dai getti e dagli schizzi che ne derivano, o ancora usa una specie di cannone in miniatura caricato di colore che fa esplodere ricorrendo all’acetilene. Quei colori che si spandono in un baleno sulla tela danno forme di una freschezza mozzafiato. 

 

 

© Anna Amendolagine, 2021

 

IL TEATRO DEL COLORE

 

L’artista giapponese non interviene direttamente sulle tele che sono stese per terra. Lui cammina su queste tele e, a seconda dell’effetto che vuole avere, tira in aria le bottiglie o i bicchieri pieni di colore ora più lontano ora più vicino. Con gesti che possono essere più delicati o più violenti. Prima che le bottiglie o il colore si vadano a infrangere sulla tela passa del tempo.   C’è quindi questa idea del volo che fa il colore mentre si impregna di aria, di vento, di sole  e di energia. Pertanto la tela ha inglobato  non solo tutti questi elementi ma anche lo spazio sopra di essa il respiro e lo sguardo degli spettatori.

 

Inoltre nel corso della creazione dell’opera ci sono degli accompagnamenti musicali,  che probabilmente contribuiscono a darle quell’ irresistibile ritmo interno.

 

E’ vero teatro la performance del maestro nipponico  perché del teatro orientale conserva il rito. C’è un rito dietro il suo lavoro. La creazione dell’opera d’arte è un rituale che sconfina nella magia.

 

 

© Anna Amendolagine, 2021

 

MUSICA MAESTRO

 

Grandissima e vivacissima nella seconda sala si trova una meravigliosa tela. Non essendoci un vero centro cromatico, sembra un prato fiorito a primavera. Una vera sinfonia di colori smaglianti, pezzi di vetro, pezzettini di carta. Vi è incastonato pure un violino con il suo archetto. Davanti a questa ci sono una serie di  leggii con sopra spartiti musicali.

 

In effetti se ci accostiamo all’opera pare di udire della musica. Entriamo in una dimensione vibrazionale ‘altra’, perché questo lavoro risuona come una partitura musicale formata dalle emozioni suscitate dai  colori, dai frammenti di vetro che a volte sbrilluccicano e dagli inserti di carta colorati. Il solfeggietto e i sogni d’amore di Liszt sugli spartiti aggiungono efficacia a questo inimitabile concerto. Il cuore esplode di gioia,  di allegria, di contentezza. Vorresti ballare in questi saloni fantastici.

 

Non dico a ballare ma anche a camminare occorre stare attenti in questi spazi. Una gran quantità di palline da ping pong sono infatti sparse per tutto il pavimento della sede espositiva, a ricordo di una performance teatrale. Palline bianche dappertutto. In perenne movimento producono un suono particolare.

 

 

© Anna Amendolagine, 2021

 

ALTRE OPERE

 

Oltre alle grandi opere, lo spazio CIAC ospita anche altri lavori di Shozo Shimamoto.  Come il pianoforte solitario che diffonde la sua melodia in una delle sale adiacenti. Uno strumento a coda che una volta era nero ma dopo una delle famose performance dell’artista è diventato multicolor  e ricolmo al suo interno di cocci di bottiglie rotte e bicchieri di plastica accartocciati dentro.

 

Come l’opera scultorea – costituita da un busto di donna in gesso bianco posto su un piedistallo rotondo di metallo – anch’essa tutta schizzata di vari colori.  O come il quadro della scopa.  Realizzato spargendo con la scopa del colore giallo sulla grande tela bianca. Sempre di notevoli dimensioni segue un’ opera molto materica,  tondeggiante di feltro a tinte verdi.

 

Per il maestro giapponese la prima cosa da fare è liberare il colore dal pennello, come dichiara nel  Bollettino «Gutai», n.6  Ōsaka, del 1957:

 

Un colore senza materia non esiste. Se in procinto di creare non si getta via il pennello, non c’è speranza di emancipare le tinte. Senza pennello le sostanze coloranti prenderanno vita per la prima volta. Al posto del pennello si potrebbe usare con profitto qualsivoglia strumento. Per iniziare, le nude mani o la spatola da pittura. E poi ci sono gli oggetti adoperati dai membri del gruppo Gutai: annaffiatoi, ombrelli, vibratori, pallottolieri, pattini, giocattoli. E poi ancora i piedi, o le armi da fuoco, o altro. E in tutto ciò potrebbe anche ricomparire il pennello, perché non vi è dubbio che in simili elaborazioni innovatrici qualcosa del passato torna in essere.

 

 

© Anna Amendolagine, 2021

 

LA POETICA DI SHIMAMOTO

 

Una sezione è dedicata ad alcuni lavori carta dove appaiono delle scritte. E poi un lavoro in metallo con dei  piccoli buchi molto ravvicinati e abbastanza regolari. È del 1962  la seguente affermazione di Jiro Yoshihara:  

 

“Alcune delle pittoriche sperimentali egli anticipa Mathieu, Fontana, Dalì. SS si chiede sempre se le sue nuove idee possano essere considerate arte o meno ed è alla ricerca di quel limite”.

 

Intervallati nel percorso della mostra ci sono di schermi tv dove vengono trasmessi dei video dai quali si evince bene la tecnica del Maestro: la performance artistica come rito. Un esempio per tutti è il video Vento d’Oriente, ripresa della performance eseguita davanti al pubblico nel chiostro grande sull’isola di Capri il 9 maggio del 2008.

 

Non rimane che  concludere, a questo punto, con le parole riassuntive del curatore Italo Tomassoni :

 

“La novità di Shozo Shimamoto è stata quella di uscire dal perimetro del quadro, di identificarsi  con il contesto e di anticipare con questo una serie di esperienze dell’arte contemporanea che vanno dalla Mail Art alla performance perché ogni sua opera è anche il prodotto di un comportamento e di un coinvolgimento  ambientale che lo fa essere persona che vive all’interno di un ambiente e lo rende attivo attraverso la sua espressione artistica”.

 

 

 

 

Pubblicato da Anna Amendolagine

Curatore indipendente, saggista e giornalista vive e lavora tra Roma e Rimini. La sua attività curatoriale inizia a partire dal 2003 e comprende l’ideazione e la realizzazione di mostre, testi e cataloghi d’arte, rassegne ed eventi culturali in collaborazione con Istituzioni pubbliche e private sia in Italia che all’estero. E stata membro della giuria o del Comitato Scientifico di diversi concorsi artistici. Giornalista pubblicista e Addetto ufficio stampa ha scritto numerosi articoli su arte e cultura per riviste cartacee e online. Ha ricoperto il ruolo di Coordinatore Tecnico Europeo per due importanti progetti culturali dell’Unione Europea PETRA e LEONARDO dal 1993 al 1998.