
“Un’esperienza non è qualcosa che accade ma l’esperienza è qualcosa che noi scegliamo di fare, che ci permette anche di vedere il mondo in modo diverso. Man mano che facciamo esperienza siamo di sicuro inflenzati dal nostro vissuto, dal nostro percorso di vita, ma anche dalle circostanze e dal contesto”
La citazione condensa una buona parte del pensiero su cui si basa la ricerca artistica di Olafur Eliasson, uno tra i più originali e visionari artisti contemporanei. Nel corso della sua poliedrica carriera ha creato installazioni, dipinti, sculture, fotografie e immagini in movimento.
Le sue coordinate di lavoro sono l’architettura, la scienza, la tecnologia, le indagini sperimentali, la psicologia e le percezioni umane. Il suo ultimo progetto, ancora in corso, è quello di far diventare Palazzo Strozzi, definito il più bel palazzo rinascimentale di Firenze, il co-protagonista di una grande mostra.

NEL TUO TEMPO
La mostra in questione si intitola Nel tuo tempo ed è la più grande di Olafur Eliasson mai realizzata in Italia, allestita presso Palazzo Strozzi fino al 22 gennaio 2023. Curata da Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi, l’esposizione vede il coinvolgimento di tutti gli spazi dell’edificio, simbolo dell’Umanesimo, dialogare con le opere dell’artista. Racconta Galansino:
«Nel 2015 Olafur visitò per la prima volta gli spazi di Palazzo Strozzi e rimase colpito dalla architettura rinascimentale, cominciando così una lunga conversazione tra lui e il palazzo quattrocentesco, un dialogo complesso il cui senso si riassume nella esposizione odierna».
Il lavoro dell’artista è consistito nel sistemare nei vari ambienti del palazzo installazioni storiche e nuove produzioni che permettono all’edificio di diventare un luogo di incontro tra l’architettura e la sua storia, le opere e il pubblico, lo spazio e il tempo. Non un semplice contenitore o uno sfondo quindi, quanto piuttosto il palazzo diviene co-produttore delle opere, strumento creativo che interagisce con la percezione dei visitatori.

UNA PLURALITA’ DI NARRAZIONI
Nelle intenzioni dell’artista la mostra vuole stimolare nel visitatore la capacità di fare esperienze diverse perchè ognuno di noi vede cose diverse. Due persone vicine che guardano la stessa cosa possono avere un’esperienza totalmente diversa. In una stessa immagine qualcuno potrà vedere una maggiore profondità mentre qualcun altro la vedrà più piatta. Ma è importante che ciò possa avvenire in uno spazio di condivisione.
Il percorso espositivo è costituito da una serie di 20 installazioni che incorporano gli elementi architettonici presenti nel contesto, come finestre, soffitti, angoli e pareti, e che attraverso interventi con luci, schermi, specchi o filtri colorati ne sovvertono la percezione. Eliasson presenta quindi una pluralità di possibili narrazioni che oltrepassano i confini e i limiti fisici di ciascuno spazio, mettendo in discussione la distinzione tra realtà, percezione e rappresentazione.
In questi lavori esposti non si trovano degli oggetti d’arte come sculture e tantomeno dipinti. In alcuni casi le sale sono pressocché vuote ma vi si trovano, invece, elementi come acqua, temperatura, luci. Spiega Eliasson:
“Mi piace pensare all’idea che l’opera d’arte consista in realtà nella qualità dell’esperienza di chi la guarda e che sono le persone a contribuire – con il loro percorso, il loro vissuto, insieme allo spazio e alla storia di quello spazio – alla creazione dell’opera d’arte. Qui c’è una confluenza tra il palazzo stesso, le opere d’arte e i visitatori”.

EFFETTO MOIRÈ
L’opera site specific Under the weather (2022), situata nel cortile di Palazzo Strozzi, costituisce il punto di partenza dell’esposizione. E’ formata da una grande struttura ellittica di 11 metri, sospesa a 8 metri di altezza. L’installazione crea nelle persone l’effetto noto come effetto moiré, fatto di interferenze visive, simili allo sfarfallio di uno schermo. In questo caso, ha lo scopo di destabilizzare la rigida architettura ortogonale di Palazzo Strozzi, contestando la percezione di struttura storica stabile e immutabile.
Quando il visitatore guarda questo lavoro ha un ruolo perché muovendosi da un punto all’altro dello spazio cambia la prospettiva e cambia quello che vede. Ad alcuni la struttura potrà persino apparire circolare. In questo modo l’installazione diventa uno scambio tra il movimento di ogni visitatore e la sua personale esperienza visiva che la completa. Così l’atmosfera che si viene a creare è ipnotica, tipica di quella ambiguità visiva che ha affascinato Eliasson per decenni e ispirato molte delle sue opere.

SCENOGRAFIE TEATRALI E SET CINEMATOGRAFICI
Il percorso prosegue al Piano Nobile del palazzo. Nelle prime tre sale Eliasson istaura il dialogo con l’architettura servendosi di luci artificiali, ombre fugaci, riflessi e colori intensi oltre che al succitato effetto moiré. Si concentra in particolare sulle finestre, quegli spazi dai quali entra la luce e attraverso i quali si guarda alla realtà esterna.
Secondo l’artista una finestra è anche una lente che ha un’influenza sul modo in cui guardiamo la realtà. Perché quando la guardiamo non vediamo la realtà oggettiva. Le sue opere vogliono sottolineare proprio questa lente, il filtro. Ad esempio, in più di una sala c’è la proiezione del vetro delle finestre alla parete e guardando da vicino quella proiezione ci accorgiamo che il vetro sussurra la sua storia. Dalle capacità artigianali della sua creazione ai dettagli architettonici che una volta erano simbolo sia di potere che di ricchezza.
Nel gioco tra realtà e rappresentazione, presenza e assenza, Eliasson propone soluzioni che sembrano scenografie teatrali o set cinematografici. Nelle quali il pubblico si può avventurare, meravigliato e divertito, contribuendo ad un’ulteriore arricchimento delle opere.

ARCO, CERCHIO, ELLISSE
Il tema del cerchio e dell’ellisse, introdotto nel cortile, viene ripreso in altre due opere del percorso espositivo. La prima installazione Solar compression (2016), è un disco circolare sospeso e composto da due specchi convessi. In costante movimento, emana dal suo interno una luce gialla che si diffonde nell’ambiente.
La seconda, How do we live together (2019) vede un grande arco metallico traversare in diagonale una sala dove una superficie specchiante ricopre completamente il soffitto. Per l’ effetto di illusione creato, tipico di Eliasson, l’arco raddoppia e diventa un cerchio che unisce lo spazio reale con quello irreale.
E ancora il cambiamento di percezione avviene anche con l’installazione Room for one colour (1997), dove in uno spazio vuoto ma immerso nella luce di lampade monofrequenza gialle la percezione di chi le guarda è alterata perché si vede in bianco e nero.

APPROCCIO LUDICO
La cascata di gocce d’acqua è particolarmente suggestiva ed è l’ opera più interattiva in assoluto. Si tratta di Beauty (1993), un lavoro iconico della carriera di Eliasson. Il visitatore si può avvicinare, sentire il freddo, l’umidità, passarci attraverso, bagnarsi e farci delle cose in mezzo. Fasci di luce bianca proiettata da un faretto vengono scomposti nei colori dello spettro visibile e appare uno spettacolare arcobaleno. Ciascun visitatore però ne ha una visione soggettiva e personale, che dipende dall’angolazione in cui si pone.
Infine, una recente opera di Eliasson, che testimonia il suo interesse per i temi della geometria e della luce. Si intitola Firefly double-polyhedron sphere experiment (2020) ed è un grande poliedro di vetri policromi a effetto iridescente, emblema della sua ricerca sulla visione come azione di frammentazione e complessità del pensiero.
Nella stessa sala un’altra meraviglia alla quale accostarsi è l’opera Colour spectrum kaleidoscope (2003), grande caleidoscopio esagonale costituito da filtri di vetro colorato riflettenti. Come afferma Eliasson:
“I caleidoscopi giocano sul fatto che ciò che vediamo può essere facilmente disorganizzato o riconfigurato. Utilizzano un approccio ludico per mostrarci diversi modi di guardare il mondo; in questo senso potremmo dire che un caleidoscopio rappresenta una prospettiva diversa”.

TANTE DOMANDE, UNA SENSAZIONE
All’uscita della mostra possono sorgere tante domande nel visitatore. Rimane sicuramente la sensazione di aver giocato un ruolo attivo sia all’interno del Palazzo che con le opere. Allora forse ciò significa aver capito quello che la mostra aveva da dire, di averne colto il senso e di aver reagito partecipando alla sua co-creazione. E’ una sensazione di empowerment, di capacitazione. Dove ognuno può ritenersi soddisfatto e mormorare tra sé e sé:
“Nessuno mi ha detto cosa devo pensare. Ci sono io con la mia storia e sono padrone del mio tempo. Ho il mio punto di vista e la mia consapevolezza dello spazio. Pertanto sono in grado di agire di conseguenza”.