Domon Ken

L’arte della fotografia

Al significato generico di arte figurativa nel XX secolo si associano i termini riferiti specificatamente a: pittura, scultura e arti grafiche. Verso la metà del secolo all’espressione “arte figurativa” si è preferita la definizione di arte visiva comprendendo in quest’ambito anche l’arte fotografica.

Questa premessa per introdurre il fotografo giapponese Domon Ken (1909 Sakata – 1990 Tokyo) considerato al giorno d’oggi uno dei più grandi artisti in questo campo: egli ha segnato la storia della fotografia in Giappone tra gli anni 1920 e 1970.

Esordì nel mondo della fotografia a soli ventiquattro anni e nel 1935 iniziò a collaborare con l’ Agenzia fotografica Nippon Kobo dove cominciò a dedicarsi specificatamente alla fotografia per il giornalismo.

Domon dimostrò da subito le sue grandi capacità sulle pagine di “Nippon”. Nel 1938 uscì il suo primo reportage fotografico su “Life” che segnò l’inizio del suo grande successo. Nel 1939 lasciò la Nippon Kobo ed iniziò a lavorare per la Kokusai Bunka Shinkokai che si interessava di relazioni culturali internazionali.

Con il suo nuovo lavoro di fotogiornalista, all’avvicinarsi della guerra dapprima cerca di adeguarsi alla crescente domanda di servizi propagandistici: ma la sua sensibilità verso i temi culturali e sociali lo spinge all’utilizzo di un’espressione essenziale e senza filtri allontanandolo presto dal mondo commerciale.

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Domon avvertì il dovere e il desiderio di servire il suo Paese, ma non potendo entrare nell’esercito perché riformato dopo le visite mediche, cercò di farlo attraverso la fotografia che durante quegli anni era però condizionata dalle rigide leggi della propaganda e della politica militare: trovò quindi molte difficoltà ad esercitare la sua professione.

Nel 1941 per un caso fortuito ebbe l’occasione di trovarsi nel backstage del teatro Bunraku (Teatro delle marionette) ad Osaka e pur non conoscendo l’ambiente teatrale e degli artisti, iniziò a fotografare i burattini quando erano riposti dietro le quinte.

Non fu semplice per Domon ottenere l’accoglienza e la disponibilità di collaborazione con i maestri burattinai, ma nel 1943 aveva già scattato molte fotografie tutte di alta qualità in ambienti dove la luce era quasi inesistente.

Dopo la guerra preferì incominciare a dedicarsi ad una fotografia che sottolineasse un legame forte e diretto allo stesso tempo con il soggetto da fotografare per documentare fino in fondo il dramma che il proprio Paese aveva subito.

Nel 1950 decise di diventare un free – lance.

Le sue fotografie non furono mai presentate all’estero, ma in fondo egli era poco interessato a viaggiare e a conoscere cosa succedesse fuori dal Giappone, in effetti Domon Ken era una persona piuttosto austera, in qualche caso burbera, molto determinata e concentrata nel proprio lavoro.

Nel 1958 venne pubblicato “Reportage di Hiroshima” proprio prima che un’emorragia cerebrale lo colpisse. Lo scrittore Kenzaburo Oe, Nobel per la letteratura (1994), l’ha indicata come la prima grande opera moderna del Paese del Sol Levante considerandola più importante di un libro di storia.

L’impatto dopo la bomba di Hiroshima.

Ormai reporter a tutti gli effetti Domon sentì profondamente la necessità di raccontare la grande tragedia della storia che aveva colpito il Giappone: la bomba atomica fatta esplodere su Hiroshima.

E poi la documentazione per immagini del popolo giapponese lungo i decenni, mostrando con la sua fotografia realistica – circa settemila scatti – i cambiamenti delle città e della società prima e dopo.

Venne soprannominato “il genio” per la sua capacità di realismo nella fotografia giapponese del dopo guerra. I suoi scatti sono riusciti a cogliere la bellezza del Giappone e l’anima del suo popolo. A modo suo voleva raccontare come la gente piano piano, dopo l’immane catastrofe cercasse di ricominciare a vivere.

Per Domon fotografare la vita sociale di chi era sopravvissuto a Hiroshima, significava documentare in modo diretto le ferite e le cicatrici di una società giapponese devastata, mai però mostrando la distruzione e la morte.

La sua arte fotografica che descrive per immagini gli aspetti più autentici della società e i personaggi reali della vita di tutti i giorni, si inserisce automaticamente nella tipologia della “Street Photography” e Domon la esprime concentrandosi e realizzando, sempre in bianco e nero, una serie di fotografie sui bambini.

Amava i bambini per i loro sorrisi, la loro gioia, i giochi, liberi e felici anche se con poco: fra i tanti, molto d’effetto gli scatti della vita comune nei villaggi di minatori nel sud del Giappone.

Domon Ken scattava una fotografia dopo l’altra in mezzo a loro mentre giocavano per le strade dopo essere sopravvissuti ad Hiroshima: i bambini si lasciavano fotografare da lui, che per riconoscenza dava loro qualche caramella.

Con questi scatti riuscì ad entrare nel vivo della realtà di quegli anni del dopoguerra documentando con le sue fotografie l’eleganza, la discrezione e la speranza tipica di quel popolo orientale dando una svolta radicale all’arte della fotografia giapponese mostrando la “vita” e non più solo la “morte”.

Nel 1953 la sua pubblicazione della raccolta fotografica “Ritratti” riunisce circa ottanta ritratti di personaggi famosi, nel mondo dell’arte, della cultura, della scienza, ma anche di amici e suoi conoscenti attraverso i quali svela e rivela il volto del Paese del Sol Levante.

Nel 1954 fu pubblicata la raccolta Muroji la prima di una serie di scatti con i quali voleva esprimere la sua attenzione ai minimi particolari delle sacre statue, come la gestualità delle mani, le espressioni degli sguardi e perfino le pieghe dei lembi delle vesti.

Infine a partire dal ’60, l’ultimo suo capolavoro, 5 volumi dedicati alla serie del “Pellegrinaggio ai Templi Antichi”, nel quale si ammirano foto di sculture ed architetture buddhiste scelte e scattate in trentanove Templi su tutto il territorio giapponese: una attenta e dettagliata fotografia dei luoghi sacri e tradizionali giardini zen giapponesi.

Queste dispense raccolgono un insieme di immagini a partire dai suoi primi scatti fotografici effettuati dal 1939 quando si era recato al tempio buddhista di Muroji – eretto per volontà dell’imperatore Kammu e risalente al IX secolo – che sorge in mezzo ad una rigogliosa foresta nei pressi della città di Una (prefettura di Nara): Domon Ken era rimasto affascinato dall’apparente maestosità di questo piccolo tempio.

La preparazione prima di fotografare.

Per ogni ripresa fotografica Domon era solito prepararsi e studiare accuratamente sui libri:

  • osservare le sculture che lo avevano colpito
  • osservarle attentamente e coglierne i particolari perché avrebbe fotografato solo quelle sculture
  • rimaneva ad osservare ogni scultura anche per ore prima di incominciare a scattare le fotografie

Non potendo usare il flash o luce artificiale all’interno dei Templi, doveva usare lunghi tempi d’esposizione che non sempre garantivano riprese sufficientemente illuminate.

Nel fotografare le statue dei Buddha mostrava una preferenza verso le sculture in pietra o in legno piuttosto che in quelle di metallo (bronzee o dorate) in quanto riteneva che le prime manifestassero dei lineamenti più emozionanti con un’espressione più compassionevole.

Con una raccolta di oltre settantamila scatti fotografici Domon Ken è il primo fotografo giapponese a cui è stato dedicato nel 2003 un Museo per conservare le sue opere nella città natale di Sakata.

Museo di Domon Ken

Domon Ken fu colpito da una seconda emorragia cerebrale che gli procurò una estesa paresi e lo costrinse infine sulla sedia a rotelle. Nel periodo della riabilitazione come esercizio iniziò a dipingere, il pittore che più lo aveva ispirato fu Modigliani, per poi riprendere a fotografare con tutte le difficoltà del caso.

Con il tempo la malattia lo segnò profondamente e cambiò anche il suo carattere rendendolo molto più pacato, ma sempre combattivo, immortalando il contesto in cui viveva.

Da quel momento Domon Ken non venne più chiamato “Domon il Diavolo”, un qualcuno fra l’umano ed il divino (forse la definizione non l’avrebbe gradita), ma “Domon il Santo”.

Morì ad ottanta anni a Tokyo.

Domon Ken amava la fotografia: in Giappone venne definito il “fotografo eroe”, come uomo e come fotografo, in quanto ha saputo evolversi a seconda dei periodi della vita cercando di esprimere sempre i suoi sentimenti per mezzo della fotografia.

La sua arte colpisce per la compostezza dei suoi scatti, la precisione quasi maniacale per immortalare la vitalità delle giovani donne e in particolare dei bambini