Where do you stand with your art, Colleague?

Nel 2019 il museo Reina Sofia di Madrid ha dedicato una retrospettiva a Jorg Immendorff , artista tedesco (Bleckede, 14 giugno 1945 – Düsseldorf, 28 maggio 2007).

Non conoscevo nulla di questo artista.

Non mi sarei soffermata nelle sale a lui dedicate (ero lì soprattutto per Guernica) se non fossi stata attirata dall’immagine di un suo lavoro, sulla copertina del catalogo che lo riguardava.

Where do you stand with your art, colleague? (1973)

Non fu tanto l’estetica del quadro che mi colpì, quanto il titolo e la forza del suo messaggio.

Mi pareva di cogliere l’urgenza di una risposta nello sguardo della figura centrale, la mano che indica il corteo che si intravede oltre l’uscio, come ad indicare una sorta di distacco tra la realtà che si muove fuori e l’angolo in cui è rannicchiato l’artista e l’esigenza di tenere conto di un’arte che sia rappresentativa di cose concrete e reali.

In tutto questo fanno da contraltare la parola Kampf, la figura del pittore raggomitolato nell’angolo, con l’ elenco delle correnti delle avanguardie appese al muro. Come fossero un menù già predisposto, e non una convinzione.

Cercai qualche notizia e lessi la biografia di un uomo che legò indissolubilmente la sua arte alla vita.

Una vita sempre borderline che lo vide impegnato politicamente in una società tedesca che stava cambiando.

Attivo nelle lotte ambientaliste, nell’occupazione di case, nell’insegnamento dell’arte nelle scuole e nelle accademie. Nel 1984 aprì un locale, il “Cafè Paloma” che divenne il ritrovo delle avanguardie tedesche.

La sua vita si caratterizzò per l’uso di droghe. La frequentazione di criminali lo portò a sperimentare il carcere. Affrontò una malattia che non ne limitò l’impegno.

Il suo lavoro, che si sviluppò nell’arco di 40 anni, è stato il risultato di una sorta di “chiamata vitale” (come lui la definì) verso l’arte. Considerò il ruolo dell’ artista come resistenza alle rigide convenzioni della società senza per questo essere un outsider.

Il suo manifesto di vita è tutto in una frase: “Io voglio essere un artista”.

Gli anni 60 e 70

Immendorff iniziò la sua carriera artistica negli anni ’60 nel clima politico che accompagnò il profondo cambiamento della RFT. Nel 1964 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Dusseldorf ed ebbe come docente Joseph Beuys con il quale instaurò da subito una forte amicizia. Appartenne in pieno alla generazione del ’68 e sentì forte la spinta verso la politicizzazione della società civile. Nel ’69 fu espulso dall’Accademia a causa delle sue attività di protesta contro le leggi restrittive di emergenza della RFT, contro la guerra in Vietnam e contro il neocolonialismo.

In quel periodo militò nel partito comunista ( KPD ).

Le opere prodotte in quegli anni dimostrano l’influenza della sua attività politica. In questi lavori il testo e le immagini stanno fianco a fianco, si rafforzano a vicenda e ne danno la sua chiave di lettura.

Frankfurt am Main (1973) ci mostra una marcia contro la guerra in Vietnam, i dimostranti sorreggono striscioni con lo slogan “Tutto per la vittoria del popolo vietnamita combattente”.

Questi lavori non sono un messaggio estetico ma un veicolo di denuncia sociale e politica di cui Immerdorff si faceva portavoce.-

The Opinion Column (1971)

Anche l’attività di insegnante, che svolse dal 1968 al 1981, influenzò la sua arte.

The Opinion Column è il manifesto del suo approccio didattico: immagine e testi sono il resoconto del suo metodo che si traduceva nel coinvolgimento degli studenti, nel preparare lezioni su argomenti condivisi, nella discussione degli avvenimenti della vita sociale del momento, nella preparazione degli slogan per gli striscioni portati durante le manifestazioni.

La disillusione e la malattia

Questa convinzione dell’arte al servizio della propaganda politica cominciò progressivamente a vacillare con la radicalizzazione del conflitto sociale. La realtà chiese conto alla visione dell’artista. Le azioni di lotta armata della R.A.F., l’atteggiamento punitivo della DDR verso le istanze dei circoli artistici alternativi che cercavano di liberarsi dalle rigide regole accademiche, l’espulsione del cantautore Karl Biermann e di alcuni artisti che avevano protestato contro questa decisione, segnarono per Immendorff una sorta di spartiacque. Progressivamente si allontanò dalla politica attiva e dall’insegnamento, i suoi lavori non rappresentarono più la voce dell’antagonismo sociale.

Immendorff in conversazione con Michael Stoeber:

“..con il tempo ho ridotto passo passo il tessuto narrativo in modo tale che la forma ed il colore fossero al centro…”

L’autoritratto del 1980 è l’emblema della ricerca di una nuova identità come uomo e come artista:

il punto interrogativo sulla maglietta, la sensazione di inquietudine resa dalle rapide pennellate, la mano che protegge lo sguardo smarrito, la sigaretta che si consuma nell’altra mano….

Immendorff non produrrà più quadri di denuncia, neanche la caduta del muro di Berlino trovò spazio nei suoi lavori.

Nel 1998 gli fu diagnosticata la SLA contro la quale combatté continuando a dipingere. Da mancino imparò ad usare la destra e quando anche questa mano si fermò, la sua “chiamata vitale” andò oltre l’ostacolo ed elaborò un percorso di pittura “delegabile”. Sotto la sua direzione i suoi assistenti diedero forma alle sue visioni

“….vedo me stesso nel ruolo di maestro d’orchestra, i miei assistenti preparano le tele, i modelli e io metto le note, sono il compositore ed il direttore d’orchestra…….Io lavoro in modo distruttivo in termini pittorici, che è quello che ho sempre voluto fare, ma è dannatamente difficile farlo in modo cosciente…..”

Jorg Immendorff in conversazione con Erwin Koch

Pittura con pazienza (1992)

Morì a Dusserldorf il 28 maggio del 2007

fonte : Jorg Immerdorff Paintings and drawings ed. Haenlein