Conversazione con Coubert


-Buongiorno signor Coubert, da cosa iniziamo? Parliamo di rivoluzione e Comune di Parigi o solo di arte?


Le due cose secondo lei sono indipendenti? O almeno, lo sono state nel percorso che ho fatto tra le vostre cose terrene? Io non penso. Le mie opere, e tutta la mia vita sono lì a testimoniarlo. E poi, mi scusi, perché viene a scomodare me, un pittore che ormai è solo memoria per qualcuno? Non ci sono personaggi più interessanti da far conoscere a quelli che frequenta lei?

Lei è particolare signor Coubert. Uno come lei, in questi tempi che noi terreni passiamo quasi in letargo e fuori da contese che avevano l’ambizione di cambiare il mondo, è proprio uno speciale. Facciamo così, non farò domande, si racconti. Insomma, ci dica qualcosa.

Le risparmio la parte più biografica, quella roba che ha a che fare con nascita, famiglia, studi e cose così. E’ roba noiosa. Che dire del resto? Ci abbiamo provato ed è andata male.

L’arte secondo Coubert

-Sì, però qualcosa sulla sua arte…

Menomale che stava zitto. Qualcosa sulla mia arte… che vuole che dica? Penso che i miei quadri parlino da soli. Le polemiche seguite a dipinti come lo spaccapietre o l’origine del mondo, a proposito mi dicono che viene censurato quando qualcuno ne pubblica l’immagine e che fa ancora grande scandalo, dicevo dei miei quadri, ho inteso l’arte come un mezzo per descrivere quello che si muoveva nella società, fuori da canoni classici che imbellettavano uomini di potere. Sono stato criticato e sono stato vilipeso per questo. Non mi hanno perdonato nulla. Erano abituati ad adulatori, i borghesi non amavano vedere ritratti straccioni e gente piegata dalla fatica. Il volto di un uomo stanco o arrabbiato. Volevano essere rassicurati che nulla sarebbe cambiato. E invece…

-Già, e invece. Mi perdoni, citerò un frammento della lettera che scrisse al Ministro Richard per rifiutare la legion d’onore:

” Io desidero segnalarmi tra i miei contemporanei per il mio talento soltanto e non sarei capace di frequentare chicchessia con un distintivo addosso. Desidero anche chiudere la vita non appartenendo che a me stesso. Se andaste alla fiera di Ornans, osservereste come le più belle pecore della fiera siano segnate con un tratto rosso sul dorso. La gente ingenua e bene intenzionata che ignora le leggi dell’agricoltura e delle arti, s’immagina nel suo candore pastorale che questo sia un omaggio reso alla loro bellezza, mentre è il macellaio che le ha comprate per ucciderle.”



Prego continui…

Già, scrissi quella lettera perché volevo far capire loro che non siamo tutti bestie da infiocchettare prima di mandarle al macello. Ero un uomo libero, adesso che sono spirito ancora di più. Odio la retorica delle decorazioni che servono solo a commemorare il male fatto dagli uomini. Devo dire che mi venne bene quella lettera e forse insieme al resto ha dato un motivo in più per mandarmi in esilio quando venne il momento.

Non ho mai avuto discepoli a cui insegnare qualcosa. Penso che l’arte e la pittura se hai qualcosa da dire, e un po’ di talento , abbiano  in sé tutti gli elementi per farti sbocciare come un fiore. Serve applicazione, un po’ di disciplina e una visione del mondo. Quel mondo che ti scorre accanto con tutte le sue contraddizioni. Ho sempre pensato di rappresentare la realtà per come era, uno specchio in cui riflettono immagini che in molti preferivano ignorare. Sono stato odiato per questo dai maggiordomi del potere. Lo sono stato ancora di più quando ho immerso le mani nel fango che loro avevano prodotto. Con quel fango pensavamo di fare mattoni per ri-costruire la società. Ci è andata male e abbiamo pagato il prezzo.

 

L’esperienza della Comune di Parigi

-Mi dica dell’esperienza della Comune di Parigi…

Ha presente un uragano che scombussola l’odine delle cose a cui è abituato? E’ stato così, intenso, breve ma travolgente. Un popolo fatto da gente comune ha brillato di luce propria. C’è stato chi ha raccontato da chi era formato quel popolo, vale la pena che glielo dica…

Ecco, ho ancora questo articolo che ne parla nel dettaglio…allora:

“36.309 comunardi -uomini e donne- prigionieri e processati 19.426 risultarono operai, 4.074 agricoltori, 2.938 impiegati, 2.426 domestici, 1.725 membri di “professioni liberali” e il resto di altre categorie intermedie.

Tra questi prigionieri circa 25.000 risultarono analfabeti o semi-analfabeti.

Su 20.000 comunardi processati dai tribunali ordinari figuravano 2.901 manovali, 2.664 meccanici e fabbri, 2.293 muratori, 1.659 falegnami, 1.598 commessi, 1.491 calzolai, 1.065 impiegati, 863 imbianchini, 819 tipografi, 766 scalpellini, 681 sarti, 636 mobilieri, 528 orefici, 382 carpentieri, 347 pellai, 283 marmisti, 227 stagnini, 106 insegnanti, ecc.”

Rompemmo gli orologi per fermare simbolicamente quel tempo fatto di produzione che uccideva la vita, bruciammo la ghigliottina e abbattemmo la colonna di Vendome su cui si stagliava l’immagine di Napoleone. Un simbolo di guerra, forgiata dal ferro di migliaia di cannoni che avevano ucciso e fatto strage tra gente costretta a subire i capricci di re e imperatori. Le donne furono protagoniste, c’erano loro sulle barricate.  Operaie, maestre, casalinghe e prostitute si scoprirono così soggetti attivi di una rivolta dentro una rivolta. I giornali le chiamarono ” Le Amazzoni della Senna”.

“Cittadine, sopporteremo più a lungo che la miseria e l’ignoranza facciano dei nostri figli dei nemici, che padre contro figlio, fratello contro fratello, vengano ad uccidersi fra loro sotto i nostri occhi per il capriccio dei nostri oppressori? Cittadine, noi vogliamo essere libere!…”.

Provammo un’esperienza di vita collettiva, dove le decisioni non venivano prese dall’alto ma condivise. Si arrivava da sofferenze e guerre, quella tra noi francesi e i tedeschi ci aveva sfibrati. Mentre la si combatteva provai anche a convincere chi sparava dall’altra parte a seppellire i fucili e fondere il metallo dei cannoni per forgiarne di nuovi, da puntare contro chi ci sfruttava.

Da lì qualcuno trasse ispirazione per scrivere le parole dell’internazionale. A proposito, la cantate ancora?

Prima di tutto questo scrissi una lettera agli artisti tedeschi che mi fece passare per traditore della patria, mi ricordo ancora qualche brano:

” Lasciateci i vostri cannoni Krupp, li fonderemo insieme ai nostri; l’ultimo cannone, con la bocca in alto, ornato del berretto frigio, posto su un piedistallo con alla base tre palle di cannone, questo monumento colossale, che erigeremo insieme in piazza Vendôme, sarà la nostra colonna, di voi e di noi, la colonna dei popoli, la colonna della Germania e della Francia federate per sempre.”

Quando tutto finì le persone che con me seguirono quel sogno pagarono un prezzo terribile. Tra gli storici si scannano ancora per fare una stima dei morti sulle barricate e di quelli fucilati. Furono tanti, si dice tra i 20 ed i 30 mila. Gente fucilata sul posto, senza processo o portata in carcere e fatta marcire lì.

Sa quale fu la maggiore preoccupazione nei salotti borghesi?

-No, mi dica

Gli avevano fatto fuori la manodopera e non c’era più nessuno che produceva. Il Peuple Souverain, che era un giornalaccio conservatore, si dolse delle conseguenze economiche del massacro operaio, chiedendosi: “dobbiamo pagare cinque miliardi… chi sono i pazzi che hanno potuto immaginare e compiere queste grandi fucilazioni!”. Il settore calzaturiero perse metà dei suoi operai (12.000 su 24.000); l’ebanisteria più di un terzo; la sartoria un terzo (10.000 su 30.000); sparirono  i conciatetti, i decoratori, i piombatori, gli zincatori. Scomparvero le fabbriche a predominante manodopera femminile. Insomma per loro quelle uccisioni non furono un buon affare.

Chiudiamola qui con quel ricordo, mi fa ancora male. Io pagai poco rispetto a quella gente, sei mesi di carcere e una multa che mi mandò sul lastrico. Mi imputarono la responsabilità dell’abbattimento della statua e mi condannarono per quello. Me ne andai in Svizzera, dove sono sepolto.

Poeti

-Vuole chiudere questa intervista con qualcosa, signor Coubert?

Un paio di cose, la prima quello che scrissero nell’inchiesta parlamentare del 1871 che ne seguì:

“Il diritto uguale di tutti ai beni e alle gioie di questo mondo, la distruzione di ogni autorità, la negazione di ogni freno morale, ecco, se si scende alla radice delle cose, la ragion d’essere dell’insurrezione del 18 marzo e il programma della terribile associazione che le ha fornito un esercito.
Estratto da inchiesta parlamentare sull’insurrezione del 18 marzo 1871″

La seconda il ricordo di poeti come Verlaine e Rimbaud che condivisero quell’esperienza, quest’ultimo scrisse:

“All’aurora, armati di un’ardente pazienza, entreremo nelle splendide città.”

Grazie signor Coubert.