Arshile Gorky: fra due mondi

“L”atmosfera era fantastica….Grandi quantità di tele di ampie dimensioni, centinaia di tubetti dei colori più costosi….foreste di pennelli, pezzi di lino per gli stracci da pittura…l’arte era il pilastro della vita di questo collega; veniva prima del mangiare e del bere…lavorava giorno e notte, notte e giorno. Magro come un chiodo e povero, Gorky investiva solo in materiali di prima qualità e carta fatta a mano. “

Così Willem de Kooning descriveva l’amico Gorky e il suo studio al 36 di Union Square – NY.

Gorky iniziò e finì la sua vita in una incredibile miseria: venuto da un paese martoriato, con un nome inventato, un passato doloroso, riuscì a trovare un modo del tutto personale per esprimere se stesso.

Alto, occhi scuri, fascino dell’artista tenebroso, diventò una leggenda nell’ambiente artistico newyorkese.

La sua vita non fu affatto facile: nacque Vosdanik Adoian nel 1904 nel piccolo villaggio armeno di Khorkom sulle rive del lago Van, in una zona montagnosa dell’Impero Ottomano vicino al confine con la Turchia. E per un breve periodo visse la gioia e la felicità dell’affetto della sua famiglia.

La bellezza sontuosa della natura selvaggia che lo circondava restò nella sua memoria per tutta la vita, dando forma ai suoi pensieri, ai suoi sentimenti e diventando il soggetto principale della sua arte.

Un passato doloroso

Ma il suo Eden durò poco.

Nel 1908 il padre abbandonò la famiglia per emigrare negli Stati Uniti con la promessa mai mantenuta di ricongiungere la famiglia. Dopo pochi anni il piccolo Vosdanik, con la madre Shushan e la sorella si spostarono nella città di Van.

Poi iniziò l’incubo.

Nel 1915 il governo turco diede inizio al crudele e impietoso genocidio della popolazione armena. La povera famiglia scappò agli orrori del massacro cercando rifugio dove capitava, mangiando quello che trovavano per strada, proteggendosi l’uno con l’altro.

Nel 1919 Shushan, sopraffatta dalla fame e dal freddo, morì fra le braccia dei suoi figli.

Tutto questo resterà nella memoria di Gorky come una ferita fresca, mai ricucita e che rivela emozioni legate alla memoria e alla perdita.

E nella sua memoria resterà quella foto fatta a Van che ritraeva lui e la madre e che fu spedita al padre perché non si dimenticasse di loro.

Gorky ne fece due differenti versioni e in entrambe la madre rimane uguale a se stessa, congelata nel tempo, bella e triste come Arshile continuerà a ricordarla.

Una seconda vita

A soli 15 anni Vosdanik scappa con la sorella da Erevan e riesce a raggiungere gli Stati Uniti, ritrova il padre operaio in una fabbrica in Massachusetts. Ma questa riunione non durò a lungo, incapace di perdonare quel padre che abbandonò la famiglia.

Quando arrivò negli USA un istinto imperioso riportò il ragazzo alla passione per il disegno, che probabilmente si sviluppò quando vide i dipinti e le sculture dell’antica popolazione armena.

Vosdanik iniziò la sua seconda vita: con la certezza di essere al mondo per disegnare e dipingere, si trasferì a Boston dove dal 1922 al 1924 studierà presso la New School of Design: qui subito si misurò con i grandi artisti del passato ed in particolare con Cezanne.

Paesaggio – 1927-28

Nel 1925 vola a New York, insegna arte (Mark Rotcho fu un suo studente), si immerge nei musei, scopre Picasso, Mirò, Braque.

Diventare Gorky

Si inventò un nuovo nome Arshile Gorky e nel 1929 si insedia in uno studio al 36 di Union Square a Manhattan.

E continuò a studiare quei grandi artisti a cui si ispirò totalmente nei suoi primi anni di lavoro: si avvicinava ad ognuno di loro con l’occhio di chi vuole apprenderne l’uso del colore, la testura, la combinazione delle immagini e le astrazioni.

Naturalmente dotato nel disegno, la rielaborazione di quanto assorbiva era sostanziale.

Scrive il critico John Russel:

“Procedette per emulazione: non voleva copiare Cezanne, Picasso, Mirò, ma assimilarli, diventare un tutt’uno con loro. Lui visse i loro quadri a tal punto che la poetica dell’emulazione andò oltre la mera copiatura”.

Organizzazione – 1933-36

Nei primi anni del 1930 Gorky continuò ad insegnare, espose in alcune gallerie, e lavorò con De Kooning per la Works Progress Administration del Federal Art Project (tra i lavori commissionati ci fu una serie di murales per l’aeroporto di Newark).

Gorky divenne una “curiosità” fra gli artisti di New York: riconosciuto da tutti per il suo talento naturale nel disegnare e dipingere, ma considerato “continuo discepolo” di quei suoi “eroi”.

Tuttavia questa sua iniziale emulazione, questa profonda immersione nelle opere di Cezanne, Picasso, Mirò, questo “camaleontismo” che pareva quasi dargli la possibilità di “nascondersi”, finalmente si ruppe.

Gorky si aprì alla sua arte.

Scrive il critico Michael Kimmelman

“Ogni artista gli diede qualcosa che lui poté usare. Cezanne gli insegnò il vuoto dello spazio, Matisse le linee, Picasso la metafora e la mitologia. E per le immagini, Gorky si rifugiò nella fantasia”

Essere Gorky

L’astrazione gli permise di alterare la realtà, di trasformarla, di trasfigurarla.

Sempre Kimmelman sottolinea:

“Nightime, Enigma and Nostalgia suggerisce una profonda solitudine e un senso di claustrofobia, un labirinto di dolorose memorie”

Nighttime, Enigma and Nostalgia – 1932

La via d’uscita da questo labirinto Gorky la trovò nell’amore e nel ricordo della bellezza della sua terra natia.

Nel 1941 questo uomo così umorale e complicato sposò con gioia e per amore Agnes Magruder (più giovane di lui di 20 anni) che lui chiamava “Mougouch” (la mia piccola forza).

Le estati passate in Virginia nella fattoria della famiglia di Agnes, due figlie nate poco dopo il matrimonio, lo portarono ad una maturazione nel suo lavoro.

Si riappropriò del suo essere, del suo sentire, dei suoi ricordi sepolti forse per difendersi da un destino avverso. Trovò la sua maturità artistica nel sogno della sua infanzia perduta.

“…sono stato portato via dal mio villaggio a 5 anni e tutti i miei ricordi felici si sono fermati in quel momento. Quelli sono stati gli anni in cui ho odorato il pane appena cotto, ho visto i miei primi papaveri rossi, la luna…gli anni dell’innocenza”

La sua tavolozza si arricchì di lavanda, di lillà, di gialli e di marroni terrosi che trasformarono le sue immagini in forme indefinite di soffici, dolci, caldi colori.

Scrive il critico John Russel:

“I lavori di questa sua nuova maturità presentano molte affinità con i colori della sua terra: la luce del cielo catturata nel tramonto fra le antiche tombe di pietra armene, i prati colorati di lillà, di lavanda, i rossi dei cespugli…”

Apple Orchard

Dal 1943 la forma e il contenuto furono in sincronia nella sua arte e le sue opere ottennero finalmente il giusto apprezzamento.

Furono anni di lavoro frenetico.

Ricorda Saskia Spender nipote di Gorky e curatrice di molte mostre a lui dedicate:

“Gli piaceva lavorare in modo veloce perché, come disse una volta, quando siamo in sintonia con il nostro tempo facciamo le cose con maggiore facilità”

One year the Milkweed

In molte delle sue prime opere Gorky applicava un colore pieno, saturo, all’interno di linee precise, ma dal 1940 egli cominciò a diluire i suoi oli con la trementina dando al colore una consistenza leggera, che si traduceva in delicatezza e movimento.

“Preferisco non vedere la forza del mio braccio sulle tele, ma solo la poesia del mio cuore – scrisse l’artista a proposito di questo cambiamento – …..io voglio solo lasciare il fantasma della pittura per stimolare l’immaginazione”

The Opaque – 1947
Pastoral – 1947
Dark Green
L’abbandono, nuovamente

La sua arte divenne il ponte di collegamento fra Parigi e New York proprio nel momento in cui il centro del mondo artistico si spostava da una città all’altra.

Gorky ebbe una grande influenza su molti artisti del suo tempo (De Kooning e Pollock fra gli altri).

“Qualcuno si chiede – scrive ancora la nipote – se quella di Gorky sia una forma d’arte americana. Lontano dall’essere catalogato Gorky è un esule che dipinge in America e per poter comunicare adotta il linguaggio artistico che risente di ciò che il proprio tempo, nel mondo occidentale, gli offre…”

Liver is the cock’s comb

Ma mentre lo stava dipingendo, Gorky perse nuovamente il suo paradiso.

Dopo le estati in Virginia, si trasferì con la famiglia nel Connecticut dove iniziò a dipingere all’aria aperta e dove trasformò un fienile nel suo studio.

Nel gennaio del 1947 questo studio prese fuoco, molte opere, tele, schizzi andarono irrimediabilmente perse. Nel febbraio dello stesso anno gli fu diagnosticato un tumore rettale e fu sottoposto ad un pesante intervento di colostomia.

Gorky non accettò questa sua menomazione e cadde in una profonda depressione.

In un successivo incidente d’auto perse l’uso del suo braccio destro. Mentre stava cercando di imparare ad usare la sinistra per dipingere, il cancro arrivò al suo stadio terminale.

La moglie iniziò un rapporto amoroso con il pittore cileno Roberto Matta, amico di Gorky da anni.

L’ epilogo fu drammatico: in uno scatto d’ira, ubriaco, spinse la moglie giù dalle scale. Agnes lo abbandonò portando con sé le due figlie.

Gorky non resse a tutto questo: il 21 luglio 1948 si impiccò nel fienile lasciando scritto su una cassetta dei colori:

“Goodbye my Loveds”

De Kooning un anno dopo la morte dell’amico scrisse sulla rivista Art News

“….e sono felice di pensare che sia impossibile uscire dalla tua influenza perché finche sarà con me io farò tutto nel modo giusto. Dolce Arshile, sia benedetto il tuo caro cuore”

“Vicino alla nostra casa sulla strada che portava alla sorgente, mio padre aveva un piccolo giardino con alcuni vecchi alberi di mele che avevano smesso di dare frutti. Ma ombreggiavano il terreno circostante che produceva carote in grande quantità e dove i porcospini avevano scavato la loro tana….C’era una roccia blu che spuntava dal terreno scuro ed aveva sfumature qui e là come nuvole nel cielo…..E ricordo il sh-h-h-h-sh delle foglie d’argento dei pioppi”