HIROH KIKAI  鬼海 弘雄

Nato in un villaggio della prefettura di Saga sull’isola di Kyushu nel 1945; ebbe una infanzia felice.

Diplomatosi nel 1963, lavorò per un anno nella città di Yamagata, e pur essendo appassionato di cinema, incominciò a frequentare la Hosei University di Tokyo per studiare filosofia, laureandosi nel 1968.

Successivamente, Hiroh lavorò come camionista, per mantenersi, poi non trovando altro lavoro a lui più consono, dopo circa un anno andò a lavorare in un cantiere navale.

Allo stesso tempo però si mantenne in contatto con il suo professore di filosofia dell’Università: Sadayoshi Fukuda.

Il professor Sadayoshi, filosofo e critico, collaborava con la rivista mensile giapponese di fotografia “Camera Mainichi” nata nel 1954 e così introdusse Hiroh al suo editore Shoji Yamagishi (critico fotografico ed editore di riviste).

Un giorno Shoji mostrò a Hiroh le fotografie di Diane Arbus (1923-1971) una fotografa americana di origine russa tra le più conosciute del XX secolo, che ebbero un forte impatto emotivo su di lui.

Nella sua vita Hiroh viene influenzato dalla grande trasformazione della società tra la Seconda Guerra Mondiale e gli anni 1960, però solo nel 1969 iniziò a scattare fotografie.

A quell’epoca un laureato guadagnava in media 40,000 Yen al mese, mentre un apparecchio fotografico di alto livello per professionisti poteva costare fino a 600,000 Yen.

Hiroh ebbe un’offerta per acquistarne una – usata – a 320,000 Yen; pensò quindi di parlarne con il suo professore Sadayoshi, il quale molto generosamente gli imprestò immediatamente il denaro a fondo perduto.

Così Hiroh ebbe la grande opportunità di acquistare una Hasselblad 500CM, con le sue lenti da 80 mm, che fu la macchina fotografica che usò da allora principalmente per tutti i suoi ritratti.

Fu proprio con questo apparecchio, che riuscì nel corso dei trenta anni seguenti a produrre una serie di ritratti monocromatici della gente di Asakusa (un quartiere di Tokyo), un lavoro che anni dopo lo fece riconoscere come uno fra i più importanti fotografi giapponesi.

La carriera fotografica

Kikai non avendo esperienze precedenti non riusciva a trovare lavoro come fotografo e nel 1972 sperando trovare soggetti interessanti da fotografare decise di imbarcarsi su un peschereccio che batteva le rotte del Pacifico; fu durante questo viaggio che scattò le sue prime fotografie che riuscirono a essere pubblicate nel 1973 sul “Camera Mainichi”.

Al suo ritorno a Tokyo riuscì a trovare lavoro per una Agenzia fotografica, la Doi Technical Photo, per circa tre anni, e poi, come desiderava, si creò il proprio studio con annessa camera oscura.

Sempre nel 1973 partecipò alla quattordicesima edizione della Japan Advertising Photographers’ Association e si fece notare vincendo un premio.

Solo dopo la sua prima esposizione personale nel 1983 divenne fotografo freelance e nel 1985, organizzò la sua seconda mostra personale.

Vivendo dalle parti di Asakusa, un antico quartiere di Tokyo che si trova a nord-est della città, delimitata ad ovest dal fiume Sumida, nei giorni liberi si recava a fotografare i visitatori ed i pellegrini che andavano a visitare il Tempio Sensoji, in assoluto il luogo di venerazione più antico di Tokyo, dedicato alla Dea Buddhista della misericordia Kannon Sama.

Dal 1985 cominciò a recarsi più spesso nel quartiere di Asakusa, e ad oggi sono già state pubblicate tre sue collezioni di ritratti monocromatici.

La fotografia monocromatica

Questo genere di fotografia si adatta a qualsiasi tipo di scatto, dai paesaggi, alla fotografia di strada, ai ritratti.

In tutte le fotografie la composizione è certamente l’elemento fondamentale: luci, ombre, posizione del soggetto, colori.

Nella fotografia monocromatica il colore ha un valore ancora maggiore perché è il vero protagonista dello scatto e deve venire studiato con attenzione.

Variando saturazione e luminosità, includendo nell’ inquadratura soggetti di materiali diversi, le superfici dei vari oggetti riescono a esprimere e fanno risaltare meglio la tridimensionalità dello scatto.

Fotografare è come raccontare un evento, trasmettendo sensazioni ed emozioni; anche un’istantanea in bianco e nero molte volte può presentare delle caratteristiche che poche altre tipologie di fotografie possono offrire.

Un uso abile ed accorto del bianco e nero può rendere lo scatto di una fotografia “irripetibile”, unica.

I giochi di luce ed ombre che si possono ottenere accentuano i particolari, rafforzando la sensibilità e accentuando le sensazioni suscitate da ciò che raffigurano.

Progetti

Altri progetti fotografici a lungo termine di Hiroh sono i quartieri residenziali di Tokyo, e scene di vita della gente che vive in India e Turchia.

Tutte queste fotografie sono state scattate in bianco e nero.

Solo occasionalmente Hiroh ha usato il colore nei suoi scatti fotografici: ad esempio sulle isole Goto nel sud-ovest del Giappone, ed anche per delle fotografie di nudi.

Spesso in Giappone i fotografi sono soliti collaborare fra loro o formare dei gruppi, Hiroh invece non ha mai voluto collaborare con altri fotografi, ha sempre preferito lavorare da solo.

Durante la prima parte della sua carriera Hiroh ebbe spesso necessità di guadagnare anche in altri modi, infatti nel 1980 lavorò per un periodo nello stabilimento di Isuzu e nel 1982 in quello della Subaru.

Insegnò poi per qualche tempo circa un anno alla Musashiro Art University, ma rimase deluso dalla mancanza di impegno da parte degli studenti e così decise di smettere.

Asakusa: ritratti

Hiroh iniziò la sua serie nel 1973, lavorando in alcune piazze di Asakusa con ritratti monocromatici, ma poi realizzò che avrebbe potuto essere importante avere uno sfondo per le sue fotografie e scelse le pareti rosse del Tempio Senso-Ji (anche conosciuto come complesso templare buddhista di Asakusa), uno dei Templi più colorati e popolari di Tokyo.

Fino ad allora si era imposto alcune regole da seguire nel ritrarre le persone: il soggetto doveva rimanere al centro dell’inquadratura, guardare direttamente nell’obiettivo, e veniva ripreso dalle ginocchia in su.

Il lavoro comportava una grande pazienza, in quanto poteva voler dire attendere per ore al Tempio Senso-Ji sperando di riuscire a trovare qualcuno che volesse farsi fotografare, o, nella peggiore delle ipotesi, non poter scattare neppure una fotografia per giorni.

Nel 1987 pubblicò “Ecce Homo” che fu la prima collezione di questi ritratti di Asakusa.

E’ un libro di grandi dimensioni con quarantuno ritratti scattati in quel quartiere (dal 1985 al 1986): una serie di fotografie quadrate in bianco e nero.

Lo sguardo del fotografo è solito concentrarsi sulle persone come fossero paesaggi di corpi che raccontano storie, cercando di immortalare con i suoi scatti volti scolpiti dalla vita e dal tempo.

Per lui ogni scatto era come trovare un attimo d’intesa fra lui e la persona da fotografare.

Forse proprio per l’approccio rilassato di Hiroh, i suoi soggetti non si mostravano a disagio, anzi si sentivano liberi di essere se stessi; e le loro espressioni nelle foto sono spesso disinvolte, scherzose o qualche volta sembrano anche provocatorie.

Hiroh per questo volume vinse ben due premi nel 1988.

Solo dopo parecchi anni, nel 1995, furono esposti un certo numero di questi ritratti con i lavori fotografici di altri undici fotografi al “Tokyo/City of Photos” una delle maggiori mostre tenuta al Tokyo Metropolitan Museum of Photography.

Le fotografie monocromatiche di Hiroh Kikai rimangono pressoché sconosciute fino alla pubblicazione del libro “Persona” (Asakusa Portraits), una raccolta di ritratti di Asakusa che vinse sia il Premio Ken Domon che il premio annuale del PSJ (Photographic Society of Japan).

Ritratti di spazi

Scene di edifici in periferia e nella stessa città di Tokyo.

Hiroh ha detto che le persone ed il paesaggio sono le due facce della stessa medaglia.

Quando era stanco di aspettare (o di fotografare) ad Asakusa, iniziava a camminare osservando le scene della vita urbana, e, dove gli era possibile, scattava “un ritratto di spazio”.

Di questa serie di fotografie ne sono apparse fin dal 1976 su diverse riviste del settore.

Era solito fotografare dalle 10 del mattino alle 15 del pomeriggio; evitava di fotografare quando erano presenti le persone, come se la loro presenza potesse trasformare gli scatti in semplici istantanee, facilmente comprensibili. Per Hiroh le fotografie senza persone, erano immagini o riflessioni sulla vita.

Nel 1999 viene pubblicato “Tokyo Labyrinth” una serie di fotografie quadrate, monocromatiche di angoli di una Tokyo deserta.

India

Hiroh Kikai disse che quando si recò in India per lui fu un poco come ritornare a Yamagata durante la sua giovinezza, e fu una grande ed ottima evasione paragonato al tipo di vita a Tokyo.

Il suo modo di fotografare è molto meno formale e pianificato rispetto ai suoi scatti delle persone o dei luoghi di Tokyo: dopo un primo inizio con una pellicola a colori di 120 fotografie ne usò una in bianco e nero da 35 mm in India, e disse ridendo che avrebbe usato i 35 mm anche a Tokyo se la città fosse stata più interessante e non lo avesse reso infelice.

Nel 1992 viene pubblicato il libro di grande formato “India” che raccoglie circa centosei fotografie di cui la maggior parte scattate in India e, in quantità molto minore, in Bangladesh dal 1982 al 1990.

Per questo lavoro Hiroh vinse il Shashin-no-Kai Award.

Qualche anno dopo proseguì il suo lavoro di fotografia pubblicando nel 1999 il volume “Indo ya Gassan” (India e Gassan) una riflessione e collezione di saggi e fotografie sull’ India confrontandola con il monte Gassan (1984 mt) che è la montagna più alta di Yamagata, la regione dove lui aveva trascorso buona parte della sua giovinezza.

Nel 2001 viene pubblicata una nuova collezione intitolata “Shanti” una raccolta di fotografie soprattutto di bambini, molti di questi scatti furono fatti ad Allahabad, Benares, Calcutta, Puri e New Delhi nel 2000.

Con questo lavoro Hiroh vinse il Grand Prix della seconda Photo City Sagamihara Festival.

Malta, Portogallo e Turchia

Nel settembre del 2005 Hiroh Kikai fu uno dei tredici fotografi giapponesi invitati dalla EU Japan Fest a fotografare le ventisei nazioni dell’Unione Europea; trascorse 21 giorni a Malta ed un breve periodo in Portogallo.

La maggior parte sono più o meno semplici fotografie di persone; la collezione fu pubblicata come l’ottavo volume di una serie di quattordici intitolata “Inbetween”.

In seguito Hiroh visitò più volte la Turchia, e le sue fotografie sono state pubblicate sulla rivista “Asahi Camera”.

Il prestigio del lavoro di Hiroh Kikai può essere attribuito al fatto di non avere mai voluto evidenziare nei suoi scatti distinzioni di città, di classe, di cultura, o nazione, ma il suo desiderio è sempre stato quello di cercare di raccontare con le sue fotografie (un linguaggio universale nel mondo) la condizione umana attraverso i suoi occhi.

Ha esposto in molte “Personali” a Tokyo e in altre parti del Giappone, a Cracovia, e a San Francisco.

Le sue fotografie sono esposte al:

Tokyo Metropolitan Museum of Photography e al

Centre for Creative Photography (University of Arizona)

Hiroh Kikai ha pubblicato molti libri di fotografie in Giappone, ma non ha trovato molti consensi internazionali fino al 2008, e raramente i suoi libri sono stati venduti all’estero.