Il vuoto profondo di Rothko

“Quando ero giovane, l’arte era un qualcosa di solitario, non c’erano gallerie né collezionisti, né critici, né denaro; eppure era l’età dell’oro, non avevamo niente da perdere e avevamo un’intuizione da seguire. Oggi non è più lo stesso, è un’epoca di tonnellate di parole e di attività senza costrutto. Qual è la condizione migliore per il mondo attuale? Non mi azzarderò a discuterne, ma so per certo che molti di coloro che vivono questa vita, sono anche disperatamente alla ricerca di un po’ di silenzio, di un posto dove poter mettere radici e crescere. Dobbiamo tutti sperare di trovarlo.” Mark Rothko (1903-1970)

I quadri di Rothko ti danno la possibilità di scandagliare lo spazio vuoto e di riempirlo di contenuti. Hanno questa grandezza, che si percepisce solo quando si è di fronte a loro. Dentro quel buco fatto di colori si può aprire una porta o una finestra , può essere percepito un velo a coprire l’essenza delle cose o, semplicemente, qualcosa che ti blocca verso esperienze che siano altro. Rothko odiò il capitalismo ma ne fu succube, morì suicida.

Le opere di Mark Rothko possono definirsi “capolavori tragici” , rappresentano alla perfezione la tragedia esistenziale dell’artista stesso: non si riconosce un soggetto preciso, L’obiettivo è quello di creare un legame emotivo con lo spettatore.

“Io penso che il colore, aiutato dalla luce, entri in relazione con l’anima e comporti conseguenze emotive inattese”

“Rothko pensava che se lo spettatore avesse vissuto correttamente le sue opere, molto spesso avrebbe pianto”.

Il modus operandi  di Mark Rothko  è quello della divisione della superficie pittorica, c’è una distribuzione omogenea del colore, in questo modo scompaiono le tracce delle sue pennellate.

Il risultato lascia lo spettatore ad una contemplazione intima, in cui può cogliere ciò che è più in sintonia con la sua esistenza.